
Favoloso Calvino
23 Ottobre 2023
di Jasmina Trifoni
Catilina Volo, Viola Alconti, Avito Calloni, Latino Cavoli, Livio Antalco, Lola Catironi. E, questi, sono soltanto alcuni dei nomi che Italo Calvino aveva creato, anagrammando il suo. Perché, diceva, non c’è nulla di più intimo della propria firma. Tant’è, da un certo punto della sua carriera, avrebbe evitato di firmare i suoi manoscritti (e avrebbe pubblicato l’edizione commentata del Barone Rampante con lo pseudonimo di Tonio Cavilla). Tutti quei nomi di possessione, come li aveva chiamati, sono riportati su un foglio a quadretti in formato A4 che, almeno a parere di chi scrive, è uno dei cimeli più interessanti – ipnotici, persino – della ricchissima mostra inaugurata alle Scuderie del Quirinale di Roma lo scorso 13 Ottobre, esattamente due giorni prima della data che celebra il centenario della nascita del più visionario scrittore del nostro Novecento.

E forse definirlo visionario non è abbastanza, tanto che il titolo scelto per l’esposizione lo definisce favoloso, citando il Fabulous Calvino di un entusiastico articolo che un altro grande della letteratura, Gore Vidal, scrisse nel 1974, in occasione della traduzione in inglese (la prima, e ne sono seguite altre, in 46 lingue in tutto il mondo) di Le Città Invisibili.

Questa grande mostra è curata da Mario Barenghi, docente di letteratura italiana contemporanea all’Università di Milano Bicocca nonché il più grande studioso di Calvino del pianeta. Che però, e si vede tutto, è alla sua prima esperienza curatoriale di un’esposizione che, per sua stessa natura e per soddisfare le aspettative di un pubblico che si auspica ampio, deve essere visiva. Il suo merito va all’aver allestito un percorso che permette di entrare nell’universo calviniano, attraverso una narrazione in cui le esperienze della sua vita (a cominciare dall’infanzia a Cuba, dove era nato, all’adolescenza ligure con i suoi genitori: il padre era un illustre agronomo e la madre, Eva Mameli, fu la prima donna in Italia a ottenere una libera docenza in Botanica) si intrecciano con le sue potentissime creature letterarie. Raccontare Italo Calvino – l’iniziale produzione neorealista, la sua, per certi versi eccentrica e magnificamente motivata, adesione alla lotta partigiana (lo sapevate che nel 1958 aveva scritto una canzone, Oltre il ponte, per il gruppo torinese Cantacronache, per tentare di evitare che la memoria di quel momento fondamentale della nostra storia si affievolisse, come peraltro sappiamo essere accaduto in tempi recenti), quella giornalistica e quella come editor della casa editrice Einaudi così come molto altro ancora, è una sorta di impresa impossibile. Così come ciascuno di noi lettori di Calvino, ha già visto, e continua a vedere, e immaginare, dentro di sé le sue storie, in un modo molto personale e unico: sta in questo la sua grandezza di uomo e di autore.

Per questo, e sempre per chi scrive, le straordinarie meraviglie di questa mostra sono le sue frasi, a volte spettinate, che costellano il percorso espositivo. Le sue fotografie, siano esse in momenti di svago, con Luigi Einaudi, Leonardo Sciascia e Natalia Ginzburg e altri amici e colleghi, o ritratti non posati, come quelli scattati da Sebastião Salgado mentre, con le mani tra i capelli, è intento nella scrittura. O mentre è sul sedile del passeggero di un’automobile, con un rinoceronte al pascolo sullo sfondo. Sono interessanti, poi, le immagini di Calvino tratteggiate dalla matita e dai colori del suo amico Tullio Pericoli, o i suoi ritratti, resi con nervose pennellate espressioniste da Carlo Levi. O ancora, le straordinarie illustrazioni alle sue fiabe, opera di Emanuele Luzzati. Si scopre poi che, sebbene la sua sia stata una personalità schiva, Calvino sia stato lo scrittore italiano più rappresentato, su pellicola, carta o tela, del Novecento.

Quello che appare più debole, nella mostra – e seppure con le eccellenti eccezioni delle opere in mostra di Mario Paolini, che fu legato allo scrittore da lunga e profonda amicizia e al quale la moglie chiese un progetto, purtroppo mai realizzato, per la sua tomba e di pochi altri – sono le associazioni fin troppo scolastiche tra l’immaginario di Calvino e quello di altri, e pure notevoli, artisti visivi. Il Barone Rampante viveva su un albero, ed ecco un albero della celebrata “produzione boschiva” nel segno dell’Arte Povera di Giuseppe Penone. Se una notte d’inverno un viaggiatore evocata dalla poetica nebbia padana delle foto di Luigi Ghirri o Le Città invisibili associate a un metafisico paesaggio urbano di Giorgio De Chirico. O, per arrampicarsi sugli specchi: Calvino ci fa entrare in un mondo magico, lo stesso (ma perché, poi?) della bucolica raffigurazione tessuta in un famoso arazzo rinascimentale della Scuola Pistoiese. E serviva davvero portare un’imponente armatura medievale da un prestigioso museo viennese? Almeno per chi scrive queste associazioni tolgono. Tolgono magia alla sempre affascinante e a volte insostenibile complessità e unicità del raccontare di Calvino, invitando ciascuno a immaginare la sua città invisibile, a trovare l’altra metà del suo Visconte, o le sue personalissime Cosmicomiche. Infine, un consiglio: sedetevi a gustare il (purtroppo breve) apparato di video che completa la mostra. Dalla sua stessa voce si scopre – ed è sconvolgente – che persino per un genio, e per di più in genio straordinariamente prolifico come Calvino, il mestiere della scrittura era una sofferta fatica. E che l’ironia è lo strumento fondamentale per raccontare il presente.
Federico Serrani ha deciso sin dall’inizio del proprio percorso di dedicare ai grandi autori ed ai libri che hanno ispirato Federico e sua nipote Stefania le proprie produzioni. Continua la scoperta di Italo Calvino su Federico Serrani, con i disegni originali di Fiammetta Ghedini che illustrano le Città Invisibili sulle bag strap e sulle cinghie per macchina fotografica della collezione dedicata all’autore qui.