Frames Blog Federico Serrani

Ghana: ultimo viaggio, con allegria

15 Febbraio 2023

di Jasmina Trifoni

Al tramonto, quando la calura dà un po’ di tregua, gli abitanti di Accra vanno in spiaggia. Se si è da queste parti, si fa altrettanto. Ma, a meno di non avere una passione per la birra tiepida, per le esibizioni di ingurgitatori di pezzi di vetro o di gruppi di acrobati che creano torri umane in un’improbabile copia di un circo bulgaro, il luogo non è un granché. La spiaggia è decorata da immondizia e popolata da venditori della qualunque: a me sono stati proposti con insistenza l’acquisto di un cucciolo di bastardino vagamente somigliante a un barboncino e la salvezza
dell’anima dalle fiamme dell’inferno, da parte di un predicatore di una delle mille one man church che proliferano nel Ghana. Quanto all’Atlantico, un bagno è fuori discussione. Le onde hanno un denso e minaccioso colore grigio.
Appena alle spalle della spiaggia e della lunga striscia litoranea di asfalto, si trova però un posto che, da solo, vale il viaggio in Ghana. È Teshie, un villaggio di pescatori ormai diventato un sobborgo della capitale, famoso per i suoi artigiani che costruiscono bare. Ma si fa presto a dire bare, e hanno una storia che merita di essere raccontata.
Tutto comiciò negli anni cinquanta del secolo scorso, quando a un talentuoso falegname di qui, Seth Kane Kwei, fu chiesto di costuire un palanchino per portare in corteo il capovillaggio, durante una delle feste delle comunità. E così ne fece uno, che riproduceva un frutto di cacao, il principale prodotto agricolo da esportazione del Ghana. Era così bello che quando il capovillaggio morì, alla vigilia della festa, gli abitanti del villaggio decisero che non potesse andare sprecato e lo usarono per portarne la salma durante il funerale. E poi ce la seppellirono pure.
Poco tempo dopo, anche la nonna del falegname passò a miglior vita. La donna, che aveva vissuto al limitare di una spianata sulla quale gli inglesi avevano costruito l’aeroporto, era stata cosìaffascinata da quelle macchine volanti da aver più volte sognato di salirci sopra e vedere il mondo dall’alto. In omaggio a quel desiderio, Seth realizzò per lei una bara-aeroplano. Da
allora, gli abitanti di Teshie presero a commissionargli veicoli per il loro ultimo viaggio: un pescatore gliene chiese una a forma di pesce, un contadino una a forma di peperoncino.

 


Le bare fantastiche – o abebuu adekai, “scatole proverbio”, nell’idioma locale – sono una delle tradizioni più curiose del Ghana, studiate dagli antropologi, esposte nei musei in tutto il mondo e battute in prestigiose case d’asta, da Londra a New York. Oggi, tra Teshie e l’adiacente Labadi, sono una decina le botteghe in cui, al riparo dal sole cocente sotto tettoie di lamiera ondulata, prospera un’attività che non conosce crisi. Dato che qui è diffusa la credenza che il defunto continuerà a svolgere le sue occupazioni nell’aldilà, ad andare per la maggiore sono le bare che ne identificano il mestiere.

Nella mia visita ho visto – tanto per citarne alcune tra quelle più curiose – una bara-sacco di farina per un fornaio, una bara- telefonino per un rivenditore di cellulari, una bara-mazzetta di dollari per un cambiavalute, una bara-phon per una parrucchiera, una bara-fetta di torta per un pasticcere e una bara-fotocamera per un fotografo. Quanto ai pescatori, scelgono bare-barca, o addirittura a forma di aragosta o di polipo, dove per ovvi motivi la salma viene composta in posizione fetale. Altri, invece, preferiscono compiere l’estremo viaggio in bare che ricordino le loro passioni, nella speranza di potervi indulgere anche lassù.

 


Ecco allora una bara-sneaker, con tanto di logo della Nike, per fanatico dello jogging, e bare che riproducono bottiglie di birra e whisky. C’è persino chi esagera in ottimismo riguardo ai piaceri promessi dall’aldilà, scegliendo di entrare in una bara che riproduce le forme, sempre generose, di una donna nuda. Ai più pii, infine, è rivolto il mercato (di nicchia, in verità) delle bare-
Bibbia, in una concessione alle autorità delle numerose chiese locali le quali, almeno in principio, avevano giudicamo blasfema la moda delle bare fantastiche.
Nella bottega che fu di Seth Kane Kwei ho incontrato Eric Kpakpo, il nipote che ne ha raccolto l’eredità, il quale mi ha raccontato che le bare – al costo dell’equivalente di un migliaio di euro: una cifra considerevole, in Ghana – vengono di norma commissionate da chi le userà. Orgoglioso, ha detto di ricevere molte ordinazioni dall’estero, in gran parte da ghanesi emigrati.
«In quel caso», ha spiegato «ne costruisco un modellino, che invio per l’approvazione prima di procedere alla costruzione di quella della misura giusta». E mi ha mostrato una mini-bara pronta per la spedizione: è per un ghanese che a Minneapolis fa il ginecologo e riproduce, in color rosa brillante, un utero completo delle tube di Falloppio. Soprassedendo sul buon gusto del soggetto, gli ho espresso che sia un peccato che opere così notevoli siano destinate a scomparire sottoterra. Ma Eric ha pensato anche a quello, e crea bare, per così dire, double face. Come quella in esposizione, a forma di bottiglia di birra: «Può essere usata come credenza, poi quando arriva il fatidico giorno basta togliere i ripiani ed è pronta per accogliere la salma».
Prima di congedarmi, non ho potuto resistere alla tentazione di chiedergli quale bara mi consiglierebbe, per l’ultimo viaggio con stile. «Per i giornalisti», risponde, «è perfetta la bara a forma di penna. Il modello Bic è molto richiesto. Devi scegliere soltanto il colore del cappuccio. Blu, rosso o nero».

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