
Le favole non esistono – se non nelle fotografie di Sir Cecil Beaton
1 Dicembre 2020
È da poche settimane uscita la nuova stagione di The Crown, la meravigliosa serie di Netflix che racconta, dal 1947, la vita della regina d’Inghilterra Elisabetta II e della famiglia reale britannica. Vincitrice di otto Golden Globe e di tre Emmy Award, la serie è curata nei minimi dettagli, dalla fedele ricostruzione storica alla scelta di attori, e vede tra i suoi aspetti più applauditi di questa quarta stagione i costumi indossati da Emma Corrin (Lady Diana), ricostruiti a partire dagli originali con una minuzia particolare, dopo un lavoro di documentazione durato oltre un anno. Basti pensare che la realizzazione della replica dell’abito di nozze di Diana ha richiesto la manodopera di tre persone, per un totale di 600 ore di lavoro in quattro settimane, 95 metri di tessuto e 100 di pizzo. Non a caso, The Crown è una delle serie più costose di sempre.

Il pensiero, immergendosi nelle vicende che ruotano attorno alla famiglia reale e a Buckingham Palace, soprattutto ai tempi della giovane Elisabetta raccontata nelle primissime stagioni, corre a Sir Cecil Beaton (1904-1980): designer teatrale e artista, oltre che scrittore, vinse nel 1959 e nel 1965, rispettivamente per i film Gigi e My Fair Lady, due Oscar per i suoi costumi e uno per la miglior scenografia. Prima ancora, però, Beaton appena ventenne iniziò a distinguersi come fotografo, passione nata durante l’infanzia che gli diede accesso a quegli ambienti dell’alta società inglese cui sognava di appartenere, nonostante provenisse da una famiglia della più modesta borghesia. Passato dalle feste e dai salotti più glam di Londra, nel 1926, in occasione della sua prima mostra a Londra, venne notato da Vogue, che immediatamente lo mise sotto contratto e con cui Beaton collaborò per oltre trent’anni, ritraendo per la rivista le più grandi star dell’epoca, da Audrey Hepburn a Marilyn Monroe, da David Hockney a Greta Garbo, diventando uno dei più importanti fotografi di moda e ritratto dell’epoca.
Nella sua vita e carriera attraverso il Ventesimo secolo, Beaton seppe raccontare con foto commoventi le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale rappresentando i volti delle persone comuni in mezzo alle strade, e insieme la quotidianità della regina Elisabetta, in ritratti che non hanno subito il passare del tempo e che hanno contribuito a rendere immortali quei volti che oggi rivivono sul piccolo schermo – nella seconda stagione di The Crown compare anche lui. Beaton fu convocato a palazzo, quando Elisabetta era ancora principessa, e dalla fine degli anni ‘30 divenne il fotografo di corte della famiglia reale, che molto presto capì l’importanza di questo mezzo di comunicazione per imporre la propria narrazione a livello internazionale e ingaggiò per questo racconto i migliori fotografi negli anni successivi, da Yousuf Karsh a Brian Aris, da Annie Leibovitz a Harry Benson.

I ritratti di Beaton, sempre pervasi da un certo romanticismo, subivano spesso ritocchi con i quali venivano cancellate le rughe, sistemati i capelli fuori posto e perfezionato ogni dettaglio, per offrire al mondo un’immagine idealizzata e impeccabile della famiglia reale e in particolare della futura regina. Fu lui a immortalare la nascita dei figli della principessa, e fu lui a offrire al mondo, il 2 giugno del 1953, le immagini della nuova sovrana d’Inghilterra appena incoronata, seria e decisa, in un tripudio l’oro e d’ermellino: come raccontano i suoi assistenti dell’epoca, Ray Harwood e John Drisdale, ci vollero oltre due giorni di lavoro ininterrotto solo per preparare il set. Continuò a lavorare per la famiglia reale fino al 1979, anno precedente alla sua scomparsa.
La storia di Sir Cecil Beaton e il suo amore per la bellezza rivivono nel film Love, Cecil, dove la voce di Rupert Everett non solo narra i fatti, ma legge anche i brani originali tratti dai diari di Beaton, che con sincerità raccoglieva le sue impressioni su tutti i suoi soggetti e sugli amici, attori e intellettuali, che era solito frequentare. Era un attento osservatore, in cui la capacità di analisi ma anche la creatività riuscivano a trovare una sintesi rara e perfetta, permettendogli di eccellere in qualsiasi forma d’arte si cimentasse. “Quale di queste è la sua professione principale?”, gli chiese qualche decina d’anni fa un giornalista. “Mi piacerebbe saperlo! È stato il mio problema per molto tempo”, rispondeva Beaton, che si è sempre diviso in tutto quello che sapeva fare magistralmente, rammaricandosi tuttavia, chissà se con falsa modestia o con convinzione, di non essere però andato mai veramente a fondo in nulla.