
THE AMERICANS, oggi
1 Febbraio 2021
parole di ale_theia
In queste ultime settimane le immagini che arrivano dagli Stati Uniti ci regalano un’aria di speranza e di rinnovamento. Chiusa la parentesi del trumpismo, che lascerà visibili e invisibili i suoi effetti ancora per diverso tempo, molte delle immagini che raccontano il Paese oltreoceano si concentrano su Washington, sul volto e sugli occhi di chi sarà responsabile di un nuovo corso, occhi che sorridono insieme alle bocche nascoste dalle mascherine. E in effetti, in pochi giorni di presidenza, Biden ha già dimostrato di essere intenzionato a remare in direzione opposta, cancellando alcune tracce del predecessore.
Cosa cambia nelle fotografie di questi ultimi quattro anni da quelle scattate da Robert Frank, oltre alle pellicole a colori, alla mancanza di mascherine, ai vestiti e alle automobili? Sicuramente c’è più violenza. Sessantacinque anni dopo – eh sì, è passata una vita da quel suo viaggio in 48 stati tra il ‘55 e il ‘56, su una vecchia Ford Business Coupe di seconda mano, che cambiò per sempre il reportage e il modo di fare libri fotografici – molto è però ancora attuale e quelle immagini non sono invecchiate, né nello stile, né in certi simboli che portano con sé.
All’epoca Frank, scomparso a settembre 2019 a 94 anni, ne aveva poco più di 30, era stufo della fotografia di moda per cui aveva lavorato dal suo arrivo a New York – era di Zurigo – e, spinto dal maestro Walker Evans si era candidato per ricevere una borsa del Guggenheim con questa motivazione: “Quando un osservatore americano viaggia all’estero, i suoi occhi vedono in modo nuovo e fresco […] e può essere vero l’inverso, quando un occhio europeo vede gli Stati Uniti […] Voglio realizzare fotografie che possano fare a meno di parole e rendere inutile ogni spiegazione”. Fu il primo fotografo europeo a ricevere la borsa di studio.

Di quelle 24mila fotografie scattate in un viaggio on the road che non possiamo che immaginare con un certo romanticismo che lui non apprezzerebbe, ne selezionò 83. Finirono in un libro, Les Américains, pubblicato dalla casa editrice parigina di Robert Delpire nel 1958, e l’anno dopo in The Americans, per Grove Press, nel Paese che raccontavano, con l’introduzione dell’amico scrittore Jack Kerouac, con cui Frank aveva viaggiato lungo la Florida.
“Con l’agilità, il mistero, il genio, la tristezza e lo strano riserbo di un’ombra ha fotografato scene mai viste prima su pellicola,” scrive uno dei padri della Beat Generation, parlando di un cowboy che si rolla una sigaretta davanti al Madison Square Garden di New York, di una tribuna di politici che pensano ai fatti loro, dei “vecchi strambi in pensione su una panchina nell’animata strada principale che si appoggiano curvi ai loro bastoni e parlano di assistenza sociale.” Un ritratto crudo e carico di malinconia, lontano dallo stile di quegli anni sia nelle inquadrature che nella sincerità.
Nel 2009 il Met di New York, cinquant’anni dopo la pubblicazione della prima edizione americana, organizzò una grande mostra dedicata a Frank, alle sue 83 splendide immagini e a quello spaccato d’America. Uno dei custodi del museo, Jason Eskenazi, ne approfittò per contemplare per due mesi, quasi quotidianamente, quelle fotografie, per rileggerne la sequenza e per interrogare i visitatori della mostra – spesso critici, fotografi e addetti ai lavori – su quali fosse la loro immagine preferita e perché. Con metodo e pazienza ha raccolto queste 275 preziose testimonianze in un libro, The American List, in cui scopriamo che l’immagine più cara ad Alex Soth è la vista dalla stanza d’albergo scattata a Butte, in Montana, che Paolo Pellegrin ha scelto quella della ragazza nell’ascensore di Miami Beach.

La preferita di Martin Parr e di Frank stesso è San Francisco, quella in cui si vede la città sullo sfondo, e in primo piano, tagliati, i coniugi neri che guardano in camera. “È una fotografia così tagliente, e che non dovrebbe funzionare, motivo per cui è così irresistibile,” ha spiegato Parr. Per Frank è stato un momento difficile da dimenticare. Annie Leibovitz sceglie Strada 90, verso Del Rio, Texas, Josef Koudelka l’automobile coperta a Long Beach, California, Alex Majoli e Duane Michals quella dell’incidente automobilistico. Per Majoli ogni fotografo, almeno una volta all’anno, dovrebbe rileggere questo libro, per Michals quella particolare foto è “la quintessenza della tristezza”.
“Ho scoperto,” scrive Eskenazi, “che molte delle loro risposte rivelavano più dei fotografi stessi [che di Frank].” I contrasti di ricchezza e povertà, la questione razziale, le solitudini, la bandiera americana e i simboli, l’incertezza del domani persa negli sguardi, la vita che scorre e la morte. Un’altra epoca ma le stesse atmosfere di oggi, più delicate e con un volume più basso, le contraddizioni, le speranze e la disillusione. “Robert Frank,” scriveva Kerouac nell’introduzione, “svizzero, discreto, carino, con quella sua piccola macchina fotografica che tira su e fa scattare con una mano, ha estratto una poesia triste dal cuore dell’America e l’ha fissata sulla pellicola, così è entrato a far parte della compagnia dei grandi poeti tragici del mondo. A Robert Frank adesso mando questo messaggio: tu sai vedere.”
Immagine di copertina: Trolly – New Orleans, 1955, da The Americans © Robert Frank